Soffermiamoci, per qualche istante allora, sulle differenze tra questi ed il serpente.
La loro pelle è coperta da squame dure, quasi metalliche. La pelle, dunque; essa indica l’immagine che viene proposta all’osservatore esterno, il modo come ci si mostra agli altri. È liscia e traslucida nel serpente che deve sedurre e affascinare; ma anche fredda, priva cioè di quel pathos che è indice di verità, meglio ancora di onestà: anche quando dice il vero, infatti, il serpente ha intento fascinatorio; dice il vero ma non è onesto, mistifica. La pelle del drago, invece, è squamosa, dura e difficile da perforare. Nell’iconografia cristiana, quindi, esso è l’alterazione del serpente; ma anche il suo disvelamento: mostra la sua vera natura demonica, quindi pericolosa. Nelle culture praetercristiane, invece, la durezza della sua pelle indica la forza difensiva dei valori che esso apporta.
Del fuoco si è già detto e tanto ancora si dirà in prosieguo d’opera.
I draghi d’acqua li troviamo già nell’Antico Testamento; segnatamente in Isaia 27, 1: “In quel giorno il Signore punirà con la spada dura, grande e forte, il Leviatàn serpente guizzante, il Leviatàn serpente tortuoso e ucciderà il drago che sta nel mare.”
Ma anche in Giobbe si ritrova il Leviatan, che viene riconosciuto nell’ippopotamo: “25Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener ferma la sua lingua con una corda, 26ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino? 27Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà dolci parole? 28Stipulerà forse con te un’alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre? 29Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue fanciulle? 30Lo metteranno in vendita le compagnie di pesca, se lo divideranno i commercianti? 31Crivellerai di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa?32 Metti su di lui la mano:al ricordo della lotta, non rimproverai!”
Si può subito notare la vera differenza tra la cultura ebraico cristiana con tutte le altre: in essa, a rappresentare il male non c’è un simbolo univoco bensì ogni creatura dissimile dalla norma… se non addirittura dall’uomo; e il drago, il leviatan e l’ippopotamo sono concepiti come se fossero della stessa natura. Identificazione che si può ritrovare persino nell’Apocalisse di Giovanni. Nel capitolo 12, versetti 3-4 così si presenta: “3Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.” Poi, nei versetti 15-16, esso si trasforma in serpente, giacché: “15Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. 16Ma la terra venne in soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca.”
Nel capitolo successivo c’è un’ulteriore trasformazione: ”1Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande.” In chiusura di capitolo, quindi, un’altra trasformazione e la manifestazione e l’identificazione di quei simboli nella sapienza; qui intesa, però, contrapposta alla Fede: “11Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. 12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. 16Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; 17e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.”
L’identificazione/contrapposizione bestia/uomo quindi racchiude, nella cultura ebraico cristiana, il segreto ed il significato del simbolo del serpente/sapienza.
Ma ritorniamo al simbolo.
Una delle rappresentazioni più significative del serpente/ drago è l’uroboros a forma circolare, in quanto è raffigurato mentre si morde la coda.
Esso rappresenta l’εν το παν – Uno il Tutto da associarsi a “Il Telesma, il Padre di tutte le cose, è qui” della Tabula Smaragdina.
Si ricorderà come un simbolo praticamente identico lo abbiamo già incontrato nella mitologia norrena: Miðgarðsormr, il drago scaraventato da Odino nell’oceano, il quale era talmente grande da riuscire a circondare tutta la terra e a mordersi la coda da solo; lo stesso Niðhöggr, il drago che cercava di distruggere il mondo rosicchiando le radici dell’albero Yggdrasill viene raffigurato raggomitolato sotto di quello.
L’εν το παν, quindi. È forse la rappresentazione più significativa del serpente: a quest’immagine è affidata il compito di rappresentare questo mistero che racchiude gran parte del sapere ermetico o, quanto meno, il suo messaggio cardine.
L’identificazione della sapienza, iconizzata nel serpente, con il tutto, rappresentato dal cerchio, figura perfetta in cui ogni parte è uguale alle altre a completare l’unità, determina un potente simbolo di conoscenza, quasi un amuleto; e la testa che si unisce alla coda indica che non vi sarà differenza, o soluzione di continuità, tra il principio e la fine; tra il Principio ed il Fine.
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